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NEWS
Sanità - Risk, infermiera e medico condannati in solido
18.05.2016
N-105/2016
A cura di:
Loredana Filangieri
Secondo la Corte di Cassazione l'infermiere deve garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche.

 

E' di questi giorni la notizia della sentenza della Corte di Cassazione destinata a fare giurisprudenza che riportiamo sintentizzandone i cntenuti in fatto e in diritto.

La sentenza n. 7106/2016 della III sezione civile della Corte di Cassazione, respinge i ricorsi dell’infermiere e del medico avverso la decisione della Corte di Appello di Massa che li aveva condannati, in solido, al risarcimento nei confronti degli eredi del paziente deceduto a causa di una fiala di potassio non diluita in soluzione fisiologica, senza effettuare alcuna forma di controllo critico su quel che stava eseguendo, ma somministrata “in conformità alla prescrizione”.

L’infermiera si era difesa sostenendo di avere, semplicemente, eseguito la prescrizione del medico, il quale, dopo l’iniezione, aveva poi corretto la relativa annotazione sulla cartella clinica subendo per questo fatto anche un procedimento penale.

La Corte di Cassazione ha chiarito che, in ordine alla «problematica relativa alla possibilità, in capo all’esecutore, di disattendere o sindacare prescrizioni terapeutiche impartitegli dal personale medico gerarchicamente superiore», ovvero «se l’infermiere professionale è “obbligato” a eseguire una prestazione medica errata», l’infermiere professionale non può considerarsi «mero esecutore materiale delle prescrizioni impartite dal personale medico», possedendo una professionalità e competenza che «gli consentono, se del caso, di chiedere, quantomeno, conferma della esattezza di una determinata procedura terapeutica, tanto più se essa è di una erroneità e pericolosità talmente clamorose ed evidenti da essere immediatamente percepibile, come tale, anche dal personale paramedico».

Quindi, l’infermiere ha «una possibilità di delibazione» rispetto alla prescrizione medica «di per se stessa erronea o incompleta», con «l’onere di adeguarne l’esecuzione ai protocolli medici vigenti e che egli abbia la possibilità di conoscere».

E non può graduarsi, come affermato dalla Corte d'Appello di Massa, la responsabilità dell’operatore professionale «in funzione della sua minore o maggiore esperienza in concreto», dovendo, invece, presumersi che colui il quale «è abilitato ad operare in un settore professionale di qualsivoglia genere» sia «portatore delle relative conoscenze tecniche e onerato del possesso delle medesime, indipendentemente dalla risalenza o meno nel tempo della sua attività».

Inoltre la responsabilità dell’infermiere non libera il medico «sul quale grava, in ogni caso, l’onere di impartire una prescrizione terapeutica precisa e completa tanto più in presenza di farmaci con potenziali effetti letali».