Un fenomeno che, sia pure con diversa intensità, è trasversale a macroaree, titolo di studio, età, genere e livelli di reddito: tutti o quasi, hanno fatto esperienza diretta di sanità negata.
Ecco alcune coordinate per orientarsi nella mappa LEA negati:
Il sentiero descritto è chiaro: richiesta una prenotazione e presa visione della lunghezza dei tempi di attesa i cittadini decidono se attendere e farla nel pubblico oppure andare in intramoenia o nel privato a pagamento intero. (vedere tabella 2 pag 73)
Tra le prestazioni di riabilitazione, su 100 tentativi di prenotazione nel Servizio Sanitario sono 42,5 quelle che transitano nella Sanità a pagamento, e sono 53 di laserterapia antalgica, 50,7 le terapie a luce ultravioletta e 42,8 la rieducazione del linguaggio.
Il Servizio Sanitario assorbe dunque una quota nettamente maggioritaria di prestazioni e tuttavia, è altrettanto evidente che esiste un travaso della sanità a pagamento che riguarda quote significative di prestazioni e coinvolge trasversalmente cittadini dalle caratteristiche demografiche, sociali ed economiche profondamente diverse tra loro.
Se si considera l’esperienza del travaso di almeno una prestazione in corso d’anno dal Servizio Sanitario alla Sanità a pagamento, ecco i 19,6 milioni di Italiani che, almeno una volta nell’anno precedente dall’intervista hanno vissuto l’esperienza della sanità negata nel pubblico, riconquistata nel privato.
TEMPI DI ATTESA PER ACCESSO A PRESTAZIONI LEA, con il dato relativo alle singole macroregioni.
Per le visite specialistiche si hanno 128 giorni medi di attesa per una visita endocrinologica, 114 per una visita diabetologica, 65 per una visita oncologica, 58 per una visita neurologica, 57 per quella gastroenterologica, 56 per una visita oculistica, 54 per una visita pneumologica, 49 giorni per una visita cardiologica, 49 per una visita urologica, 47 per una visita dermatologica, 38 per una visita fisiatrica, 38 per quella ortopedica,33 per la ginecologica, 33 per la otorinolaringoiatrica, 15 per quella pediatrica.
Rilevanti sono le oscillazioni dei tempi di attesa tra le diverse aree territoriali, più forti per alcune prestazioni in particolare.
Per la visita endocrinologica nel Nord ovest si hanno 138 giorni medi di attesa, 135 nel centro, 125 nel Nord est, 123 nel Sud e isole.
Per gli accertamenti diagnostici il campo di oscillazione tra le varie prestazioni è molto ampio perché si hanno 97 giorni di attesa per una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 per una densitometria ossea, 49 per una gastroscopia, 46 per una risonanza magnetica 46 per un elettroencefalogramma, 41 per una ecografia, 36 per TC, 34 per un elettrocardiogramma,33 per una scintigrafia, 32 per una audiometria, 32 per una artroscopia, 25 per i test genetici e immunogenetici, 21 per un RX, 9 per un PSA.
Il dato della lunghezza delle liste di attesa è almeno in parte contenuto da un fenomeno, formalmente vietato dalla normativa, ma di cui i cittadini continuano a segnalare l’esistenza: “Il ballo delle liste d’attesa”.
Ad averne esperienza è stato il 35,8% dei cittadini di cui il 41,5% al centro, il 37,3 % al Sud e Isole, il 32,8% al Nord ovest, il 31,5% al Nord est.
I divieti normativi da un lato e le smentite ufficiali dall’altro devono fare i conti con quanto emerge dalle esperienze dirette dei cittadini: il blocco di fatto dell’inserzione alle liste di attesa che, presumibilmente, è una strategia molto operativa, indicibile, di contenimento dei tempi formali di accesso alle prestazioni nel pubblico e/o privato accreditato.
In ogni caso i cittadini provano a prenotare nel Servizio Sanitario e, se valutano il tempo di attesa troppo lungo o addirittura incontrano un blocco nell’inserzione alla lista di attesa, allora optano per soluzioni a pagamento.
L’uso Ibrido tra il Servizio Sanitario e la Sanità a pagamento.
Il rapporto delle persone con la sanità non è mai unilaterale, cioè solo pubblico o solo privato, solo dentro il servizio sanitario o solo fuori: Infatti , ogni persona in un anno può tentare di prenotare una prestazione nel pubblico e averne l’erogazione in tale ambito, provare a prenotare un’altra sempre nel pubblico e optare visti i tempi di attesa, di farla nel privato o, anche, per la stessa tipologia di prestazione o per altra tipologia, decidere di rivolgersi direttamente al privato, pagando per intero la tariffa senza tentare di prenotare nel pubblico, con approccio da rassegnati (tanto nel pubblico i tempi sono troppo lunghi).
Come rilevato, la stessa persona in corso d’anno può avere accesso a prestazioni nel pubblico e nel privato accreditato gratuitamente o con pagamento di ticket e, al contempo, può optare per altre prestazioni rivolgendosi al privato, scegliendo di pagare la tariffa intera. Giocano obbiettivi e stati d’animo delle persone, oltre che la reale capacità di accesso e disponibilità delle prestazioni nel servizio Sanitario.
Emblematici di questa coesistenza, nei sentieri personalizzati di diagnosi, cura, follow up, di pubblico e privato, i dati relativi ad alcune precise patologie quali cataratta, recidiva metastatica ricomparsa di un tumore, scompenso cardiaco, protesi d’anca ed endometriosi: per queste prestazioni ben il 52,2% dichiara che oltre ad essersi curato nel pubblico ha fatto anche prestazioni nel privato pagando di tasca propria.
Ecco un esempio di percorsi combinatori dove pubblico e privato si mescolano: dagli accertamenti alle cure e terapie fino al follow-up, si moltiplicano le situazioni in cui le persone utilizzano soluzioni pubbliche e soluzioni private per avere risposte assistenziali appropriate e tempestive.
Tutti sono interessati dal fenomeno, a prescindere dalle differenze di reddito: infatti, tra coloro che sono alle prese con le patologie citate hanno fatto anche prestazioni nel privato a pagamento intero il 57% di chi ha un reddito elevato ed il 48,2% di chi ha bassi redditi.
Il ricorso al privato è in molte situazioni una necessità che chi ha maggiori risorse può praticare in modo più intenso, ma dalla quale non è esente anche chi di risorse ne ha meno.
Le funzioni di salvaguardia e integrazione svolta dalla sanità a pagamento in percorsi di cura centrati sul Servizio Sanitario è evidente: ci si rivolge al pubblico per curare una determinata patologia, ma se nel percorso di cura sono richiesti accertamenti, visite specialistiche, prestazioni collaterali comunque necessarie e appropriate allora per farle tempestivamente o, magari anche comodamente per orari e location, i cittadini mettono mano al portafoglio rivolgendosi alla sanità a pagamento.
Il 62% di coloro che hanno fatto almeno una prestazione nel pubblico e nel privato accreditato ne ha fatta anche almeno una nella sanità a pagamento, privata e intramoenia. E sono andate nel privato o passando dal tentativo di prenotazione nel pubblico o anche andando direttamente nella sanità a pagamento.
L’incrocio per reddito consente di dire che sono il 56,7% dei bassi redditi, il 61% di chi ha un reddito compreso tra i 15 e 30 mila euro, il 67,8% dei redditi tra i 30 e i 50 mila euro annui. Inoltre 13,3 milioni di Italiani si sono fatti visitare sia nel pubblico che nel privato per una stessa patologia: una caccia alle second-opinion in una logica di soggettiva autoregolazione della salute. Il surf tra pubblico e privato è anche un modo per controverificare le prescrizioni mediche su diagnosi e terapie, innalzando così qualità, efficacia e sicurezza della sanità di cui si ha bisogno.
In generale le persone surfano tra pubblico e privato per avere velocemente l’offerta di prestazioni di cui hanno bisogno e preservare la sostenibilità del proprio budget familiare.
C’è anche chi ricorre subito al privato senza provare nemmeno nel pubblico. Dichiara di essere andato in corso d’anno direttamente nel privato senza nemmeno passare dal pubblico per almeno una prestazione LEA il 44% degli italiani e sono il 38% dei redditi fino a 15 mila euro, il 49,3% dei redditi tra i 30 e 50 mila euro, il 50,7% di chi ha un reddito di oltre i 50 mila euro.
Il 36,9% ha provato a prenotare direttamente nel privato una qualche visita specialistica (14,7% visite oculistiche, 7,7% visita ginecologica, 6,2% visita cardiologica, 6% visita dermatologica) il 15,8% accertamenti diagnostici (5,4% ecografie, 4% raggi x, 3% elettrocardiogramma, 3% risonanza magnetica).
La scelta di ricorrere direttamente al privato pagando di tasca propria è sintomatica di uno stato di scoraggiamento delle persone: alla richiesta di indicare le motivazioni di tale comportamento il 61,9% dichiara di averlo fatto perché tanto le liste di attesa sono troppo lunghe, il 43,4% perché voleva un medico o una struttura di fiducia, il 21,6% perché era alla ricerca di servizi migliori, più personalizzati, il 20,1% per avere orari più comodi, il 13,5% perché il prezzo era conveniente.
Il ricorso diretto al privato, quindi, è dettato da un mix di motivazioni: il dato per reddito indica però che optano per il privato perché scoraggiati sulla possibilità di accedere tempestivamente nel pubblico il 66,9% dei redditi fino a 15 mila euro e il 55,2% tra chi ha un reddito che supera i 50 mila euro annuali. La convinzione di non poter avere, almeno per quella specifica prestazione, una risposta nel pubblico nei tempi attesi e necessari è quello che più spinge i bassi redditi a metter mano al portafoglio.
Pertanto, è vero che una quota di privato risponde ad una domanda ad alta solvibilità e tuttavia rivolgersi direttamente al privato non è un’esclusiva dei benestanti: ci sono situazioni in cui anche chi ha basso reddito agisce da rassegnato, cioè va nel privato perché pensa che tanto nel pubblico i tempi di attesa sono troppo lunghi. Sono prestazioni per le quali nelle persone è prevalso un senso di rassegnazione e quindi la decisione conseguente di rivolgersi direttamente al privato.
I numeri dei LEA negati e di quelli transitati nel privato direttamente per rassegnazione raccontano di un universalismo formale che ha lasciato il posto ad una selettività indotta dalla lunghezza delle liste di attesa.
Come rilevato ci sono coloro che, visti i tempi di attesa, vanno nella sanità a pagamento e coloro che nemmeno tentano di prenotare per certe prestazioni: non sono gruppi distinti, ciascuna persona può assumere in corso d’anno per le prestazioni sanitarie di cui ha bisogno approcci diversi con scelte diverse.
Ed è una modalità di rapporto con la sanità socialmente trasversale: non sono solo i benestanti ad andare direttamente nel privato, capita anche a ceto medio e bassi redditi per alcune situazioni. Capita meno ovviamente a chi ha redditi più bassi, ma è comunque un comportamento plausibile e diffuso, soprattutto quando si ha esigenza precisa di visita, accertamento, riabilitazione o di altro tipo. La domanda ineludibile è: sono appropriate le prestazioni che gli Italiani fanno direttamente nel privato pagando di tasca propria? Sono necessarie appropriate o sono semplicemente esito di una sorta di ipocondria di massa, un un consumismo sanitario che sopravvive al consumismo diffuso spazzato via dalla grande crisi ed estraneo all’attuale modello di consumo in cui la spesa per consumi stenta a ripartire? La risposta è senz’altro legata alla presenza di prescrizione medica o meno: ebbene, 71 prestazioni su 100 di quelle fatte direttamente nel privato pagate di tasca propria dai cittadini sono state prescritte dal medico, o MMG o SPECIALISTA o di PRONTO SOCCORSO.
È un dato che smentisce la retorica che vuole le prestazioni svolte nel privato esito sempre e solo di un consumismo sanitario deplorevole e, tutto sommato eliminabile, senza negativi impatti su buona salute degli italiani e diritto di cura.
Più nello specifico emerge che sono state prescritte dai medici, MMG, specialisti o Pronto Soccorso:
Relativamente alle visite specialistiche, sono state prescritte da un medico il 92,5% delle visite oncologiche,l’88,3% delle visite di chirurgia vascolare, l’82,4% delle prime visite cardiologiche con ECG, l’81,2% delle visite pneumologiche, l’80,7% delle visite urologiche, il 79,6% delle visite gastroenterologiche, il 78,8% delle visite neurologiche, il 78,4% delle visite fisiatriche, il 76% delle visite cardiologiche.